Messa nella Festa del beato Olinto Marella a San Lazzaro

Il Profeta ci invita a dare coraggio agli “smarriti di cuore”. Coraggio non vuol dire qualche buon consiglio, in genere a poco prezzo soprattutto di chi lo dona, a distanza, senza farsi coinvolgere nella sofferenza. Chi sono gli smarriti di cuore? Quelli che non hanno pastore e per questo sono stanchi e sfiniti. Gesù non li giudica (“se siete smarriti la colpa è vostra, se vi ravvedete posso fare qualcosa per voi” oppure “posso dare le indicazioni per ritrovare la strada, ma da lontano, senza però camminare con voi”). Si apriranno gli occhi dei ciechi. Non è condizionale: si apriranno. La speranza non dubita, anzi libera dai dubbi, risponde alla loro incertezza! Gli occhi – quelli fisici di chi vede solo il buio e, per certi versi i peggiori, quelli della solitudine o gli occhi spirituali, quelli del cuore, chiusi – si possono aprire. Il mondo sta diventando cieco per l’odio che produce odio, per occhi pagati nella logica della vendetta, che non vedono nulla perché indifferenti, pieni di paura e aggressivi perché reagiscono alla violenza con la violenza? Quando e dove scaturiranno le acque nel deserto? Quando mettiamo in pratica la Parola di Dio! E qui tanti smarriti di cuore (tutti lo siamo in modi diversi), qui con l’Opera Marella, tanti hanno trovato l’indicazione e quindi il cammino, il coraggio che è l’amore, più grande della paura e che, anzi, libera dalla paura. Qui la vita è rifiorita. Dipende anche da noi: il deserto non è un destino. Padre Marella ha fatto entrare a casa sua tanti bambini che si sono sentiti a casa, cioè amati. Poi ha costruito questa casa, ma non solo per loro, anche per sé. Era anche la sua casa! Non abitava da un’altra parte, abitava qui: faceva sentire a casa perché questa era anche casa sua. Non dovremmo fare lo stesso noi con la Chiesa? Altrimenti chiediamo cose che non viviamo!

L’apostolo Giacomo ci chiede di essere uomini di fede, che vuol dire credere a quello che oggi non c’è ma nelle fede, appunto, vediamo come se già sia realizzata. Marella vedeva le sue opere da uomo di fede, già realizzate, e vedeva nel piccolo quello che sarebbe stato. Aveva fretta perché amava. Charitas urget nos. Il tempo non è eterno, le occasioni non si ripetono e sciuparle per ignavia o banale amore per sé è stoltezza. Lo sa chi sta male e non vuole che si aspetti troppo, che semplicemente soffra, che sia abbandonato o si senta abbandonato. La carità ha fretta perché vuole liberare dalla solitudine, dalla disperazione. Non ci sono favoritismi. O meglio, ci sono, perché la Chiesa è di tutti ma particolarmente dei poveri. Mi dispiace, per chi con scrupolo e zelo mal posto, opera distinzioni penose, insiste che ci sono “prima io” e senza misericordia continua a tagliare l’unica torta, destinata a tutti, in parti uguali, senza guardare a chi è destinata, senza capire la fame di chi è disperato e non mangia da decenni il pane e il pane della giustizia, del rispetto, della dignità. No, l’amore fa preferenze, nel senso che non lascia nessuno senz’amore, ma insegna al ricco a condividere con il povero, che possedere significa stare male e far stare male – perché l’indifferenza fa male – il povero Lazzaro. L’apostolo ammonisce di non favorire chi si presenta “importante”, perché esibisce l’anello d’oro, il vestitino lussuoso. E quante volte invitiamo a pranzo solo chi può invitarci a pranzo e chiudiamo la porta di casa a chi ha fame e non ha nessuno che abbia tempo e attenzione per lui. Nessuna discriminazione! Anzi. Dio ha scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano? Sì e se anche noi scegliamo i poveri saremo liberi dai favoritismi e aiuteremo anche il ricco, che non sarà il suo vestito ma quello che è dentro. Gesù incontra la sofferenza. Non la evita. Non cerca il colpevole o, peggio, non pensa che sia il malato stesso colpevole, come conseguenza di qualche peccato di cui esponibile era lui o i suoi genitori (ricordate il cieco nato?). No.

Gli portarono un sordomuto: i due limiti, quello per cui non sai esprimere il mondo che hai nel cuore e ti senti estraneo al mondo perché non riesci a sentire. Quanti! Ci sono i sordi che hanno le orecchie, pensano di sentire ma in realtà sono sordi perché sentono solo loro stessi, parlano sempre e solo di sé e finiscono per parlarsi addosso. Ci sono, invece, quelli che hanno un mondo nel cuore e non riescono ad esprimerlo con le parole perché nessuno parla la lingua di Dio, quella dello Spirito, cioè quella dell’amore. Molti qui hanno iniziato a parlare – qualcuno anche nel senso tecnico perché ha imparato a fidarsi, ad aprirsi, a collegare i pensieri con i propri sentimenti e questi con le parole – perché hanno ascoltato la lingua dell’amore. Qualcuno ci ha impiegato parecchio, perché era proprio sordomuto e diffidente. Ma abbiamo incontrato amore, vicinanza, quella lingua che padre Marella con semplicità ed essenzialità ha parlato e che aveva imparato a sua volta da Gesù. Chi ascolta la lingua di Dio, che apre tutti i cuori e tutti li rende familiari, non è più sordomuto.

E tutti la capiscono nella loro lingua materna, quella che mi spiega chi sono e che tutti possono parlare. Galilei come sono e restano, ma fratelli, e tutti gli altri, diversi certo ma familiari. Non accade in remoto, ma solo per strada. Devi incontrare e farti incontrare, vedere e farti vedere. Che lezione di prossimità e di dono! Effatà! Apriti, non avere paura, apriti dall’incertezza e dalla presunzione, apriti dall’odio che chiude il cuore e arma la bocca e le mani. Apriti e scopri che hai dei fratelli ma che anche tu puoi essere un fratello, non uno che ha il suo mondo distante e che deve solo farlo conoscere. Come dei bambini che non potevano parlare ma avevano tante cose da dire, che avevano bisogno di qualcuno che aprisse gli orecchi e sciogliesse la lingua. Non è lo stesso per gli stranieri? Non è così anche per gli anziani che hanno una storia nel cuore e nel corpo che nessuno ascolta? L’educazione era frutto dell’amore e del parlare la lingua di Cristo. Si prendeva cura e insegnava a tanti a farlo e chiedeva a tutti di prendersi cura, almeno con la propria piccola, concreta, possibile solidarietà. Non rimproverava nessuno ma persuadeva tutti, mai adattandosi alla mentalità del mondo ma trasformandola perché mostrava la bellezza dell’amore. Davvero era terziario francescano ed era un grande educatore, paterno, che sapeva vedere in ognuno quello che era al di là delle apparenze. Non si accontentava di ragionamenti, non si metteva a fare analisi o a dare spiegazioni. Non condannava con asprezza la sua città e i cittadini. Li coinvolgeva, piuttosto, e li coinvolgeva con mitezza e dolcezza, e tutti lo accoglievano. Tutti (ecco chi sono i tutti, senza definirli, semplicemente tutti!).

Era povero. San Francesco, che scelse la povertà, non aveva nulla, come ogni cristiano, proprio per questo rendeva ricchi gli altri. Questo è possibile solo se si ama, si regala. Questa è la differenza dell’amore cristiano: pensarsi insieme, amare l’altro come Cristo ci insegna, senza limiti, da fratello e non da estraneo che svolge un servizio. Non lascia fare ad altri, non cerca un professionista, ma inizia a donare quello che serve perché ama. Con semplicità perché il bene è possibile a tutti. «Fate del bene… liberatevi dall’egoismo. Carità, carità, carità». Aveva iniziato con il Ricreatorio popolare per stimolare, da grande pedagogo, la fantasia e l’intelligenza dei ragazzi, aiutando l’autogoverno, una serena educazione dei sentimenti, con tanta fiducia nell’uomo ma anche tanto esigente richiesta. Era esigente perché donava tutto. Altrimenti non valeva! Era molto antiautoritario e molto autorevole perché paterno! E senza questo non c’è educazione. In un mondo come il nostro, dell’esibizione del proprio, del lusso sfacciato, Padre Marella ci insegna la via della povertà, che significa regalare agli altri la propria intelligenza, le proprie capacità, quello che si ha. Altrimenti che ci fai? Di chi sarà? Dava sempre quello che aveva, fermamente convinto che se c’era per quelli di casa ci doveva essere anche qualcosa per i poveri di Cristo. Marella incontra e spiega per la consapevolezza di essere amato da Dio, punto di partenza per intraprendere la via di una spoliazione di sé che lo renderà “pane” e “Padre” per molti fratelli, applicando le parole di Cristo: “Date loro voi stessi da mangiare” (Mt 14, 16).

Il 25 marzo 1966 un’invocazione scaturisce dal suo cuore, quale espressione della maturità di Cristo (cf. Ef 4, 13), ormai da lui conseguita: “Ti amiamo, Signore, lo sai, troppo poco? Accendilo tu, fa’ divampare in noi il Tuo amore, sì che possiamo accenderne altri”.

San Lazzaro, chiesa dalla Santa Famiglia
08/09/2024
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