Conoscersi non per combattersi ma per convivere. È la “missione” che, da oltre 30 anni, Ysca Harani, docente di storia delle religioni, porta avanti seguendo le orme del padre fondatore del Dipartimento di Scienze religiose comparate dell’Università ebraica di Gerusalemme.
Harani a Gerusalemme, ha incontrato il gruppo di 160 pellegrini guidato dal card. Matteo Zuppi, in Terra Santa. Mai come dopo il 7 ottobre 2023, per Harani, ebrea osservante, il dialogo è diventato un fattore decisivo all’interno della società israeliana e non solo. «Prima del conflitto viene il bene» che va cercato «nell’incontro con le persone, di qualunque fede e opinione, nel parlare non solo di ciò che ci unisce ma anche delle nostre differenze, con sincerità. Il 7 ottobre è stato un “giorno di pura crudeltà, sto ancora cercando di metabolizzare lo choc, dopo non sono uscita ad alzarmi per due settimane». Sua nipote è stata gravemente ferita: è salva perché protetta dai corpi di due soldati caduti su di lei.
«Non vivo in un mondo fantastico di utopia – ha detto Harani – e non accetterò mai un Armageddon una distruzione totale, quindi ho solo bisogno di trovare la via di mezzo ed è molto difficile. Persone come me hanno lavorato per tutti questi anni per la via di mezzo. Voglio dire, i miei amici dei Kibbuz sono stati massacrati ed erano quelli che erano con me in tutte le manifestazioni e in tutti gli scritti contro l’estremismo di questo paese. Quindi è difficile credere che ci sia una via di mezzo. Ma ci deve essere una via di mezzo. Semplicemente ce ne deve essere una, altrimenti c’è la distruzione finale. Quindi cosa scegli? Devi continuare con il la via di mezzo».
Non si può restare in silenzio. Harani non ha voluto «chiudere gli occhi» davanti a quanto stava accadendo in Israele e con i volontari della sua associazione, che si occupa di libertà religiosa e di dialogo, ha cominciato a riallacciare contatti e relazioni con quei gruppi e associazioni cristiane che avevano denunciato sputi, aggressioni e minacce, fisiche e verbali, da parte di estremisti religiosi e coloni, per chiedere loro come stavano.
«Il mio esempio – spiega – è quello dello status quo della Chiesa del Santo Sepolcro. Questo è davvero un modello. Nessuno è contento del tutto. Tutti sentono il proprio orgoglio un po’ ferito. Se arrivi all’età di 63 anni, capisci che questi appuntamenti fanno parte della vita così come il compromesso. Se non lo si accetta si va alla distruzione finale». «Non possiamo restare in silenzio davanti alle aggressioni contro i cristiani – ha spiegato – perché se lo facciamo andremo presto ad affrontare un mostro. Le piccole aggressioni sono un paradigma di quelle più grandi come è successo a noi il 7 ottobre». «Se la società civile non interviene – ha concluso – questo fenomeno diventerà normalità. In Israele ci sono molte persone che lottano per l’inclusione e l’integrazione. Vogliamo restare attaccati al sogno che questa guerra finisca. Il timore per il nostro futuro non può giustificare atti di violenza».
«La mia famiglia mi ha trasmesso la convinzione che possiamo vivere insieme, forse sono ingenua, ma credo che questi due popoli possano vivere insieme. Dipende molto dall’educazione che si riceve. Educhiamo i nostri figli alla pace diversamente continueranno la guerra».
Ai pellegrini bolognesi è arrivata anche la testimonianza della pubblicista e ricercatrice Sarah Parenzo. Le letture qui si sovrappongono, spiega: «Ogni empatia verso i civili di Gaza viene vista come tradimento e si rischia di essere perseguitati».
Come capitato ad un paio di docenti universitarie. Qui, continua Parenzo, «si percepisce poco cosa succede a Gaza». E se passa qualcosa la colpa è di Hamas o dell’antisemitismo che si propaga nel mondo. Questo approccio ha pesato nella capacità di leggere il contesto del 7 ottobre. Prova a cercare modi che gettino ponti al posto dei muri. Valorizzare gli ebrei provenienti dai paesi arabi. A prescindere dalla soluzione politico-istituzionale definitiva che è lontanissima, e se vogliamo uscire dall’uso della forza, che non ha funzionato, gli ebrei arabi e lo studio della lingua araba sono elementi importanti e i cristiani possono fare da ponte. Poi sarebbe bello passare dalla narrazione dall’essere «i capi di casa a essere i figli di casa, tutti insieme nella stessa casa, israeliani e palestinesi. La Cabala dice che la creazione è avvenuta per contrazione di Dio che le ha fatto spazio. Se lo ha fatto lui dovremmo farlo anche noi».
Daniele Rocchi (Sir). Mattia Cecchini (Dire) e Luca Tentori
Qui l’intervista ad Yska Harani a cura di Alessandra Bozzetto, giornalista di Tv2000