Riportiamo la trascrizione del videomessaggio del Patriarca di Gerusalemme dei latini, il cardinale Pierbattista Pizzaballa.
Il messaggio è stato inviato all’Arcivescovo e alla Chiesa di Bologna per la Veglia diocesana delle Palme, ed è stato trasmesso nella basilica di San Petronio sabato 23 marzo.
Caro Arcivescovo, don Matteo, cari fratelli e sorelle, cari amici e amiche di Bologna,
il Signore vi dia pace. Voglio unirmi a voi in questo momento di preghiera e di riflessione sulla pace, in modo particolare sulla pace in Terra Santa. Come ho già detto molte volte, stiamo vivendo uno dei momenti più difficili di questi ultimi decenni, se non il più difficile in assoluto. Non entro nella cronaca quotidiana, già la conoscete, la potete leggere e vedere attraverso i media, quotidianamente. Penso in modo particolare in questo momento a quello che accade alla mia comunità cristiana cattolica, ma non solo, nella comunità cristiana in generale di Terra Santa.
In particolare, a quelli di Gaza che cominciano a sentire, anzi sentono, la stanchezza di quasi sei mesi di guerra sotto le bombe dentro una situazione di estrema complessità. Hanno perso tutto, hanno perso la casa e tutto quello che avevano. Non sanno come sarà, non conoscono le loro prospettive e ultimamente, come ormai è noto in tutto il mondo, anche la fame ha cominciato ad attanagliarli. Hanno ancora un pò di riserve, ma cominciano a scarseggiare. Cucinano una volta o due alla settimana e questo deve bastare per tutta la settimana. Ci sono donne vecchie, bambini, giovani, malati, disabili anche gravi che hanno bisogno di attenzioni particolari e diverse. Mancano medicinali, manca tutto. Hanno perso tutto, ma non hanno ancora perso la speranza, anche se devo riconoscere che è messa a dura prova ed è comprensibile dopo una situazione così difficile, così pesante, per la quale nessuno era preparato.
Anche in Israele la situazione non è semplice. Penso soprattutto a quello che sta accadendo al Nord; settimane fa anche un nostro cristiano, un lavoratore straniero indiano, è morto sotto le bombe lanciate da Hezbollah dal sud Libano. E sono centinaia di migliaia sfollati nel Nord di Israele. Non voglio fare comparazioni su chi soffre di più e chi soffre di meno: non ha molto senso. Mi preoccupa molto la mancanza di prospettive e la presenza di un odio profondo che chiude. L’odio chiude sempre, non apre prospettive, non apre orizzonti. Abbiamo bisogno, soprattutto in questo momento, non solo del cessate il fuoco, di fermare ogni forma di violenza, ma di provare a ricostruire prospettive per il futuro anche se ora sembra quasi impossibile. Mentre invece è una necessità.
Quest’odio profondo renderà molto difficile nel futuro la ricostruzione delle relazioni. Israeliani e palestinesi resteranno qui anche se in questo momento c’è un rifiuto reciproco e uno non vuole avere a che fare con l’altro. Ma questo è chiudere gli occhi di fronte alla realtà, perché la realtà è chiara: israeliani e palestinesi resteranno qui. Il loro futuro è vivere uno a fianco all’altro e non ci sono alternative. Bisogna trovare delle forme dove l’uno potrà vivere accanto all’altro nella maniera più pacifica e serena anche se mi chiedo come sarà possibile dopo tutto quest’odio profondo che ha ferito in maniera così generale un po’ tutta la vita delle popolazioni di questo Paese. Però bisogna lavorare per questo. La mancanza di prospettive, il chiudersi nella propria narrativa che esclude l’altro è qualcosa di molto preoccupante. Si vede anche in questi negoziati eterni, che non arrivano mai a conclusione. Credo che siano ormai decine gli incontri delle varie «Commissioni bilaterali» tra Egitto Qatar e Turchia, che però non approdano a conclusioni concrete, reali. Finché ci saranno il rifiuto dell’altro e la mancanza di coraggio di prendere decisioni audaci sarà molto arduo uscire da questa situazione.
Cosa dire per la Pasqua? È molto difficile adesso parlare della Pasqua perché ci sentiamo vicini più al Venerdì Santo. Però è Pasqua. Entriamo dentro una Settimana di Passione che però ha una conclusione meravigliosa, che è la Resurrezione. Penso a due momenti: il Getsemani, innanzi tutto, dove ci sono i discepoli che dormono. Una prima risposta, anche di fronte al dramma che stiamo vivendo, può essere quella di dormire, cioè di lasciare che gli eventi passino da soli senza coinvolgersi. Un’altra scelta può essere quella di prendere la spada, come ha fatto Pietro. È forse la strada che tutti capiscono meglio ma che non porta a nessuna soluzione. Un altro atteggiamento può essere il tradimento che per me, in questo momento, significa cercare risposte immediate, trovare gratificazione immediata, e sposare una narrativa contro l’altra. Al posto di tradire, invece, c’è il bisogno di unità, di relazione, di riconciliazione. La risposta di Gesù è la croce con l’eccesso di amore.
L’altra figura, l’altro segno, è la pietra del sepolcro. La pietra ribaltata è un segno importantissimo. Quella pietra teneva Gesù sconfitto, morto, chiuso dentro il sepolcro ed è stata ribaltata perché lo Spirito Santo ha resuscitato Gesù dai morti e ha così ribaltato quella pietra che lo teneva chiuso dentro. Quella pietra che ora non chiude più nulla. Ho l’impressione che noi in questo momento abbiamo una pietra, un macigno, sul nostro cuore, sulle nostre relazioni che chiude dentro i nostri sepolcri tutto ciò che è ombra di morte, nell’odio, nel rancore, nel risentimento, nella vendetta. Abbiamo bisogno di rimuovere questa pietra e di liberare il nostro cuore da questo macigno. È possibile! Da soli non ce la facciamo, abbiamo bisogno di guardare in alto e chiedere questa grazia, questo dono.
In questi giorni, e soprattutto nelle ultime settimane, ho incontrato in privato, per evitare polemiche pubbliche, musulmani ed ebrei e personalità di vario genere. Sono stati incontri meravigliosi dove ho imparato tantissimo. Parlando con un musulmano alla vigilia del Ramadan ho espresso la mia preoccupazione per tutto questo odio che ci ha invaso e lui mi ha dato una risposta che è meravigliosa. Mi ha detto: «Sì è vero ma a questo tanto odio dobbiamo rispondere con tanto amore, anzi con ancora più amore». Mi ha colpito molto perché si vedeva che ci credeva proprio in tutto questo. Ed è molto bello vedere come è possibile trovare ovunque, anche qui, nonostante tutto, in questo luogo così ferito, tante persone che ancora credono che si può parlare di amore.
Allora il mio augurio è proprio questo, che in un periodo così difficile e duro, e carico di tanto odio, si abbia un po’ il coraggio di espressioni, di parole e di gesti di amore che sono l’unico antidoto possibile a tutto quello che stiamo vivendo. È il mio augurio anche per voi. Mi sembra che pure a Bologna e in Italia ci sia questo rischio di erigere le barriere invece che creare prospettive e aprirsi al confronto, magari anche serrato anche difficile, però un confronto rispettoso e leale. Tanti auguri. Grazie della vostra vicinanza. Andando al Sepolcro in questi giorni porterò anche i bisogni, le attese e i vostri desideri della Chiesa di Bologna. Nella certezza e nella preghiera che il Signore potrà rimuovere a noi, come anche voi, la pietra che tiene il nostro cuore chiuso. Buona Pasqua a tutti voi.