All'inizio del 2024

L’intervista all’Arcivescovo per il nuovo anno

Cammino sinodale, Visite pastorali, formazione cristiana, pace e dialogo sono alcuni dei temi trattati

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All’inizio del nuovo anno l’intervista all’Arcivescovo realizzata  da Alessandro Rondoni, Direttore dell’Ufficio delle Comunicazioni sociali dell’arcidiocesi e della Ceer.

Eminenza qual è l’augurio per il 2024 che sta arrivando, anche dentro il cammino sinodale che la diocesi sta compiendo?

Di continuare ad impegnarsi nel cammino intrapreso. Sono passi molto importanti. Il cammino sinodale qualche volta può apparire non chiaro su cosa dobbiamo affrontare, compresi i problemi delle nostre comunità. Quest’anno per la nostra Diocesi abbiamo pensato e scelto il tema della formazione alla fede e alla vita. Le due cose sono molto unite perché la formazione alla fede porta alla formazione alla vita, e se non c’è anche una formazione alla vita rischiamo soltanto una formazione che poi non entra nei problemi delle persone, della vita concreta degli uomini. Gesù si incarna, non fa la formazione alla fede dall’alto, viene proprio dentro la vita, per entrare nella vita.

C’è un desiderio particolare?

Quello che desideriamo è che si condividano le tante difficoltà ma, anche e soprattutto, le tante pratiche buone ed esperienze che in questi anni sono emerse in molte realtà, nelle parrocchie, che hanno garantito la trasmissione della fede. Con tutte le difficoltà presenti della formazione alla fede e alla vita, dei più piccoli come pure dei grandi, degli adulti. Ecco, siamo chiamati ad aiutare tutta la Chiesa a capire quali sono le risposte migliori, quali sono le necessità più urgenti e quali di queste esperienze possono diventare un’indicazione per tutti. Direi che, quindi, si tratta di una rilettura delle difficoltà, ma anche e soprattutto delle buone pratiche, delle proposte perché, poi, al termine di questo anno di discernimento possiamo scegliere alcune indicazioni perché la Chiesa viva quello che Papa Francesco ci ha chiesto.

Come comunicare il cammino di conversione pastorale missionaria?

Sostanzialmente Papa Francesco ci ha chiesto di comunicare il Vangelo. Se lo vogliamo vivere dobbiamo anche comunicarlo, perché se lo viviamo solo per noi facilmente diventa quella pozione che ci serve per farci stare bene soltanto per un po’. Stiamo bene quando diamo il bene, quando regaliamo il bene, come Dio quando si regala a noi. Ecco, credo che questa sia la grande preoccupazione di Papa Francesco, che la Chiesa non si chiuda ma raggiunga tutti, per essere se stessi. C’è chi dice no a questo affermando che se uno parla con tutti, poi alla fine, non è più se stesso. No, non è così, perché vuol dire allora che non sa già più chi è. Parlare con tutti, invece, ci aiuta a capire profondamente chi siamo, che cosa significa essere cristiani. E come comunicare il Vangelo oggi a questo mondo con le sue paure, con le difficoltà, con le tante ombre di morte che segnano la nostra vita.

Come continua la visita pastorale nelle zone dell’Arcidiocesi?

La visita pastorale è sempre un momento per me di grande gioia, di condivisione, anche di verifica di tante difficoltà, ma pure di poter vedere tanta forza, tanta santità nella porta accanto della vita di tutti i giorni, molto più di quanto qualche volta ne siamo consapevoli. Ripeto ancora, non perché tutte le cose vanno bene, non ci siano problemi, ma perché nelle nostre comunità abbiamo tante testimonianze di fede. La visita pastorale, quindi, è sempre anche per me una grande scoperta delle difficoltà ma, soprattutto, della bellezza delle nostre comunità, delle nostre parrocchie e Zone, della nostra chiesa di Bologna.

Nel mondo di oggi aumentano le paure così come le guerre…

Tante paure che ci vengono dal mondo, con guerre che non solo non finiscono, ma per certi versi aumentano e sono tragiche. Ci fanno rivivere quello che hanno vissuto i nostri anziani, i nostri genitori, i nostri nonni 80 anni fa, con la tragedia dei massacri, che hanno visto così colpite anche la nostra regione, la nostra città e diocesi. E pensiamo a quello che sta accadendo in queste ore in Terra Santa e in tante zone del mondo. Preghiamo per la pace.

 

La recente fiaccolata di pace a Bologna che segno è stato?

La pace deve continuare, non possiamo abituarci alla violenza, alla guerra. La fiaccolata è stato un passo importante anche perché i rappresentanti delle tre religioni si sono trovati insieme in un momento in cui purtroppo la guerra è in corso, soprattutto penso ovviamente alla Terra Santa. Speriamo che sia un tempo di Natale di pace. Dobbiamo fare di tutto e cominciare a costruire la pace cercandola, appunto, insieme, chiedendola insieme.

I presepi allestiti nelle case, negli ambienti, nelle chiese sono un segno di bene per tutti. Anche per svegliarci?

Sono 800 anni dal primo presepe a Greccio. Quindi quel freddo, freddissimo che c’era allora, San Francesco lo volle per fare proprio lì la rappresentazione, per rivivere quel clima che poi divenne pieno di luce perché tutti videro in quel bambino la presenza di Gesù, il volto di Gesù. Che sia un Natale così in questo mondo pieno di paura e che ci svegli dall’essere sonnambuli, come ha detto qualcuno autorevolmente, indicando l’Italia come un paese di sonnambuli. Natale ci sveglia dal sonnambulismo e dall’indifferenza nella maniera migliore, quella che ci apre alla vita, alla vita vera che è quella dell’amore di Dio che si è fatto uomo per noi.

Lei ha ricordato il bisogno di cambiare e di cercare il bene per tutti. Come?

Ecco, il bene non è una pozione per dimenticare, il bene chiede il bene e questo è il vero messaggio del Natale, cioè impariamo a voler bene. Dobbiamo anche noi regalare il bene per capire il Natale, cioè Dio che ci regala se stesso, regalo più grande. Noi lo possiamo capire solo se facciamo lo stesso, ciò che ci chiede. Non ci toglie, infatti, i problemi ma ci dà la forza per viverli e ci aiuta a capire che per vincere la paura occorre spendersi per il bene. Noi pensiamo che sia voler bene a se stessi, mentre voler bene agli altri ci aiuta a trovare il bene. Ecco quindi, il Natale che è il bene, ci chiede il bene, cioè l’amore, e quindi un tempo di amore. A Natale si fanno i regali ed è bello, si fanno i regali qualche volta con cose proprio dozzinali, che non servono a niente. Altre volte, invece, i regali ci dicono qualcosa, sono segni. Mettiamoci sempre un po’ di profumo d’amore e, poi, regaliamo qualcosa a chi non ha nessuno che gli faccia un regalo, regaliamo un po’ di tempo, andiamo a trovare quelli che sono soli e hanno bisogno. Si tratta, magari, solo di un piccolo pensiero ma se c’è quel profumo d’amore cambia tutto, perché è il regalo di tanto bene.

 

Come ha scritto nel suo libro, Dio non ci lascia soli. Qual è il messaggio che ha voluto dare?

Che Dio nonostante tutto non ci lascia soli, anche nonostante noi, perché arriva e non ce ne accorgiamo, viene tra i suoi e i suoi non lo hanno accolto, non c’è posto per lui, non c’è posto per loro nell’albergo e questo continua ad essere così oggi. Qualche volta va ripresa quell’espressione così efficace del cardinal Biffi, “stiamo preparando tutta la festa ma non lasciamo spazio al festeggiato, dimenticandoci Lui, il festeggiato”. Organizziamo tanto ma ci dimentichiamo di lasciare spazio, nella nostra attenzione, al vero benessere. Il Natale è davvero il benessere, sì, ma è molto diverso da quello che cerchiamo noi, perché è il vero bene, non è il bene come vorremmo noi, una pozione che mandiamo giù e che ci fa togliere tutti i problemi, non è un tranquillante che ci toglie le paure, quelle che abbiamo dentro e quelle che vengono da fuori.

A cura di Alessandro Rondoni

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