Diversi i bolognesi presenti in Terra Santa nei giorni scorsi.
Dal 3 al 10 ottobre, don Daniele Nepoti, parroco a Poggio Renatico, ha guidato un pellegrinaggio di 35 persone che è stato segnato dagli eventi drammatici. Mentre pregavano la Via Crucis percorrendo la Via Dolorosa, dei razzi percorrevano i cieli creando tensione e smarrimento. In accordo con la Farnesina, sono rientrati in Italia mercoledì 11 ottobre passando per la Giordania. Era presente a Gerusalemme anche don Alessandro Caspoli, amministratore parrocchiale di Santa Maria in Strada, che per le collaborazioni con la Custodia di Terra Santa periodicamente si reca in Israele.
Partito il 2 ottobre doveva rimanere fino al 14 ma ha deciso di rientrare prima grazie a un volo messo a disposizione dalla Farnesina. «Le comunità cristiane palestinesi – ha detto don Caspoli – sono spaventate e serrate in casa in attesa di capire lo sviluppo della situazione. Il Patriarcato latino cerca di promuovere la preghiera per i pochi pellegrini che ancora sono presenti in città. Lunedì scorso ho partecipato al Santo Sepolcro ad alcuni momenti di preghiera per la pace». Rimane invece, per il momento, a Gerusalemme per un periodo di studio don Tommaso Rausa, prima dell’ingresso nelle sue nuove parrocchie bolognesi.
Il servizio completo domenica prossima sul settimanale Bologna Sette
La testimonianza
La quiete notturna del piccolo villaggio palestinese dove vivo è rotta improvvisamente da cupi echi di guerra. Stiamo recitando Compieta, l’ultimo atto dell’ufficio monastico, nel quale si canta il Salmo 119/118, che si chiude con un grido d’aiuto: «Come pecora smarrita vado errando; cerca il tuo servo, perché non dimentico i tuoi comandamenti». Il testo originale è in ebraico, ma noi nelle liturgie lo recitiamo in arabo, come tutto il resto della Bibbia, il libro che ci accompagna nelle lunghe ore di preghiera, da notte fonda a sera inoltrata. Nel ruggito dei missili in rotta da Gaza verso Tel Aviv, e delle macchine volanti in direzione opposta, l’immagine della pecora smarrita s’illumina di un’attualità accecante: gli erranti siamo tutti noi, indistintamente, smarriti in questa notte di pece. Nei giorni che seguono quella prima notte insonne giungono i dettagli del massacro degli israeliani da parte dei miliziani di Hamas: un eccidio orribile che supera ogni immaginazione. E a seguire, la tenaglia di morte e distruzione su Gaza, quella specie di carcere a cielo aperto per due milioni di persone. Uomo, dove sei, dove vai?
Viviamo qui dalla metà degli anni ’80 del secolo scorso. È la Piccola Famiglia dell’Annunziata, la comunità fondata da Giuseppe Dossetti, giurista, membro della Resistenza, padre costituente, infine monaco e presbitero della Chiesa di Bologna. Ad Ain Arik, un piccolo villaggio pochi chilometri a nord di Ramallah, siamo una decina tra fratelli e sorelle, mentre il parroco è un giovane prete palestinese. Abbiamo tanti amici israeliani, soprattutto nel mondo dell’università, che frequentiamo per gli studi di ebraico e di giudaismo, ma anche per quelli di islam e sinologia.
L’impulso a coltivare una “anima pluridimensionale” è venuto da Dossetti, che ha indicato la direzione di marcia: l’Oriente, quindi Grecia, poi Terra Santa, in tensione per l’Estremo Oriente. Tenere insieme queste molteplici identità non è semplice: la nostra pietra di fondazione è il Vangelo, le radici sono nella Bibbia ebraica, guardiamo i musulmani con la stima indicata dal Concilio Vaticano II, e non rinunciamo alla ricerca dei “semi della Sapienza” depositati nelle religioni dell’Estremo Oriente.
Faccenda per nulla libresca, perché la vita ci dà la caccia, e l’equilibrio tra testa e cuore è una sfida quotidiana. Gli ebrei sono i “fratelli carissimi”, che hanno patito secoli di oppressione, anche per colpa di noi cristiani. Israele ha diritto ad esistere, ed è ormai una porzione irrinunciabile del Medio Oriente e del mondo contemporaneo, uscito dalla Seconda Guerra mondiale e dalla tragedia della Shoa. Ma anche i palestinesi hanno diritto ad esistere e a determinarsi come popolo, secondo quanto ha detto e ribadito la Comunità internazionale in tanti pronunciamenti, sempre inattuati. Frustrazione genera violenza. Quanto a noi, stiamo in mezzo a questi due popoli con semplicità lealtà e amicizia, aspirando al bene di entrambi in pensieri, parole e opere.
Ignazio De Francesco,
monaco a Ain Arik