Desidero fare alcune riflessioni di carattere teologico-morale, ispiratemi dall’Instrumentum laboris per la XIV Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi.
1. La post-modernità sfida la Chiesa
Parto da una domanda: qual è la principale sfida che oggi il mondo occidentale lancia alla Chiesa cattolica riguardo al matrimonio e alla famiglia? Mi sembra di poterla esprimere nei seguenti termini: il matrimonio e la famiglia sono costruzioni puramente convenzionali, delle quali si può anche fare senza.
Questa sfida è il risultato di un lungo processo di de-costruzione, alla fine del quale troviamo ancora tutti i pezzi dell’edificio, ma senza l’edificio. Mi spiego. Se voglio distruggere un edificio, ho due modi di farlo: metto una mina; lo smonto pezzo per pezzo. La via seguita per il matrimonio è stata la seconda. Abbiamo tutte le categorie che lo definiscono [paternità-maternità; bi-morfismo sessuale…], ma esse sono usate per costruire matrimoni e famiglie, le quali sono alternative alla concezione cattolica dei medesimi.
Il sedicente matrimonio omosessuale è l’espressione più chiara della sfida di cui sto parlando, avendo esso preso forma istituzionale [cfr. sentenza della Suprema Corte Federale USA del 26 giugno u.s.]. E’ come se il mondo occidentale sfidasse la Chiesa dicendole: “vedi? Ho costruito un matrimonio che non ha nulla in comune col «tuo» matrimonio”.
Altre sfide erano state rivolte alla Chiesa. Per esempio, l’impraticabilità della proposta cristiana del matrimonio; la secolarizzazione del medesimo colla introduzione negli ordinamenti civili del matrimonio civile, il quale è ben diverso dal matrimonio naturale. Ma una sfida così radicale non le era mai stata rivolta.
E’ assolutamente necessario quindi che i pastori si interroghino sulle cause di questo evento epocale. Non è questo il momento di fare da parte mia un’analisi accurata del processo causale, che ha portato la cultura Occidentale a questo traguardo. E’ di un processo che si tratta, non di singoli fatti slegati fra loro. Vorrei però presentarvi un’ipotesi circa il fatto spirituale che ha dato origine al processo: la persona umana ha rotto il rapporto, il contatto col «Principio», la «Origene».
La parabola del figlio prodigo ci aiuta a capire. Egli lascia la casa paterna, e si ritrova progressivamente in una condizione opposta a quella goduta prima di rompere la relazione col padre: rubare il cibo ai porci. E’ la più chiara narrazione di ciò che ho chiamato “la rottura del rapporto coll’Origene, col Principio”.
Quando Gesù venne interrogato sulle cause che legittimano il divorzio, Egli rimanda gli interroganti al Principio. A guardare quale matrimonio è nel pensiero di Dio creatore, ed inscritto nella natura della persona umana.
Staccandosi dall’Origene, l’uomo e la donna si sono trovati di fronte al matrimonio, ma incapaci di vedervi una verità e una bontà donate, e non suddite della loro libertà.
La conseguenza logica di questa incapacità, è stato pensare che l’istituzione del matrimonio poteva essere “manipolata” secondo la propria misura. Mi spiego.
Nella S. Scrittura si parla almeno tre volte del “principio”. All’inizio del sacro Libro: “In principio Dio creò il cielo e la terra” [Gen 1, 1]. Esiste poi una pagina stupenda del Libro dei Proverbi dove si dice [è la Sapienza che parla]: “il Signore mi ha creato all’inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, fin d’allora. Dall’eternità sono stata costituita, fin dal principio, dagli inizi della terra” [8, 22-23]. Il quarto vangelo inizia poi nel modo seguente: “In principio era il Verbo”.
Dal confronto di questi tre testi noi giungiamo ad una conclusione: tutto ciò che esiste possiede una sua intrinseca intellegibilità essendo stato misurato sul Verbo che è la Sapienza. Ora ciò che costituisce l’originalità dell’uomo, la sua preziosità unica nell’universo dell’essere, è che egli è partecipe della Luce del Verbo. La partecipazione alla luce divina del Verbo è chiamata dai Padri la mente, l’intelletto [che non è la ragione], la scintilla di Dio nell’uomo. Questi è radicato nella sua dimora, nella patria della sua identità attraverso la partecipazione alla Luce del Verbo. Non c’è dunque nell’uomo qualcosa di più prezioso del suo intelletto.
Staccandosi da questo rapporto originario ed originante col Verbo, non può più esistere una verità che non sia riducibile alle opinioni e prospettive individuali, le quali non possono più essere giudicate da un qualche criterio comune. Nietzsche ha visto chiaramente che negato Dio, il concetto di verità diventa obsoleto. Il concetto di una verità del matrimonio; la distinzione tra matrimonio vero [fra l’uomo e la donna] e matrimonio falso [quello omosessuale], diventa impensabile.
Il distacco dalla Origine, dal Principio è la “menzogna primordiale” [St. Grygiel], dalla quale scaturisce la menzogna sul matrimonio e la famiglia, che impedisce di vedere la loro verità e bontà propria.
Concludo questo primo punto della mia riflessione. Sono partito da una domanda: su che cosa la Chiesa oggi è sfidata nell’ambito del matrimonio e della famiglia? La mia risposta è stata: è sfidata dal fatto che l’uomo ha prodotto alternative radicali alla proposta matrimoniale-famigliare fatta dalla Chiesa, perché si è staccato dal Principio [abiit in regionem longiquam: Lc 15, 13]. Un distacco che ho chiamato menzogna primordiale, perchè impedisce di distinguere la vera coniugalità dalla falsa coniugalità, la vera paternità/maternità dalla falsa paternità/maternità.
2. Fattori di allontanamento: abiit in regionem longiquam.
I fattori che hanno costruito questa sfida sono molti, intra-ecclesiali ed extra-ecclesiali. Trattandosi non di evento culturale singolo, ma di un processo storico, non è possibile farne ora una descrizione completa. Mi limiterò a due fattori intra-ecclesiali che hanno indubbiamente favorito il formarsi della situazione attuale.
Il primo fattore sul quale richiamo l’attenzione è la progressiva separazione dalla sacramentalità del matrimonio dalla sua costituzione naturale. Spero di spiegarmi bene, poiché è un punto di fondamentale importanza.
Nonostante alcuni teologi [S. Roberto Bellamino e S. Lorenzo da Brindisi, per es.] e canonisti pensassero il contrario, alla fine la teologia del matrimonio elaborata da G. Vasquez [1548-1604] finì con imporsi, anche a livello di manuali di teologia morale.
Secondo Vesquez, la sacramentalità del matrimonio consiste esclusivamente nella sua capacità di causare la grazia, perché i coniugi possano osservare le obbligazioni matrimoniali. Qualsiasi altro aspetto del segno sacramentale, specialmente in ordine al mistero Cristo-Chiesa e alla trasformazione operata da esso dell’indissolubilità matrimoniale, non solo è ignorato, ma negato con grande decisione. Sarebbe il caso di dire: è demolito. Il mistero Cristo-Chiesa non ha alcuna rilevanza in ordine alla configurazione ontologica-teologica e giuridica del matrimonio dei battezzati. Non è più il principio architettonico ed ermeneutico.
Per notare la forza dirompente di questa visione, faccio un breve confronto con Tommaso e Bonaventura. Mentre per i due grandi dottori, il matrimonio naturale è già pre-figurativo della unione, del mistero Cristo-Chiesa, è già res sacra che trova la sua pienezza nel sacramento del matrimonio, secondo la dialettica cara, da Origene in poi, ai Padri: umbra– sacramentum – veritas. Per il teologo di Alcalà, e dopo di lui molti teologi e canonisti, non c’è alcuna diversità fra matrimonio naturale e matrimonio sacramento quoad substantiam. La sacramentalità è una qualità super-addita: il dono della grazia per vivere ciò che il matrimonio è jure natarae. Dovremo aspettare S. Giovanni Paolo II perché nella Chiesa ritornasse il grande insegnamento tradizionale, quando egli parla del matrimonio come del “sacramento primordiale”.
L’indissolubilità del matrimonio per Vasquez è un fatto di diritto naturale esclusivamente. L’esegesi di Ef 5 è assai interessante per comprendere il suo pensiero. Staccandosi da un’interpretazione condivisa unanimemente dagli esegeti del suo tempo, pensa che la dottrina di S. Paolo non implica che il vincolo coniugale sia di ordine soprannaturale. Sebbene esso significhi l’unione Cristo-Chiesa, non partecipa all’essere soprannaturale della medesima. Il teologo di Alcalà ammette dunque che ci sia una somiglianza tra vincolo matrimoniale e unione Cristo-Chiesa, ma nega che questa abbia una forza trasfigurante del vincolo medesimo: lo lascia nel suo proprio essere senza che partecipi del mistero.
Viene negata l’esistenza di una res et sacramentum. Questa conseguenza è assai importante, anche per le questioni attuali.
Se infatti si riduce il matrimonio sacramento al dono della grazia data per osservare una promessa; se si nega che esista una realtà sacramentale che permanga oltre il matrimonio in fieri, il problema della legittimazione del matrimonio dei divorziati risposati è di facile soluzione. Si è mancato ad una promessa; ora ci si pente di averlo fatto. Del primo matrimonio non resta nulla.
Non si ammette o non si pensa che si ha a che fare con una realtà – il vincolo coniugale – che ontologicamente permane. L’ammissione del divorziato risposato all’Eucarestia nega di fatto l’ontologia sacramentale del matrimonio, e logicamente riduce l’indissolubilità ad una legge morale.
Il matrimonio è stato sradicato dal mistero Cristo-Chiesa, il quale non è più il principio costruttivo del matrimonio medesimo. Esso è stato staccato dall’Origine; è negozio puramente umano- juris naturalis, si diceva – al quale, nel caso dei cristiani, si aggiunge la grazia. La strada è già aperta per esiliare il Mistero dal matrimonio.
Vorrei ora dire qualcosa sul secondo fattore catalizzatore di quel processo che ha portato alla sfida che oggi la cultura occidentale lancia alla Chiesa. E’ un fattore che si intreccia storicamente e teoreticamente al primo.
Come ho già detto, se il Mistero dell’unione Cristo-Chiesa non struttura il matrimonio, è inevitabile che l’indissolubilità sia pensata prevalentemente come una legge. Ed è proprio a questo livello che entra in azione il secondo fattore.
Lo descriverei sinteticamente nel modo seguente: la progressiva separazione della legge dalla verità circa il bene. E’ un processo che gli storici della teologia morale e del diritto hanno lungamente studiato. Posso beneficiare ora dei guadagni acquisiti da queste ricerche storiche.
Vi è stato una progressiva trasformazione semantica dello jus nel senso di “quod instum est” [=la verità circa il bene] alla jus nel senso di “quod iussum est” [=il diritto/la legge come esercizio della potenza di Dio, o del Principe, o della sovranità popolare].
Ma una tale trasformazione semantica ebbe a che fare subito e lungo tutto il suo percorso con un dato originario che sembrava/sembra opporvisi: la libertà. Mentre nella grande speculazione cristiana, alla luce di S. Paolo, il conflitto fra libertà e legge era congiunturale, dovuto alla concupiscenza [Agostino, Tommaso, Gregorio di Nissa], all’interno del processo che stiamo studiando era strutturale: libertà e legge sono due grandezze inversamente proporzionali. La legge è un dato exterins data.
Si è pensato che il paradigma più adeguato a pensare questa struttura antropologica fosse quello giudiziale. Ci sono due contendenti: legge e libertà. Chi giudica quale dei due ha diritto di guidare il mettersi in azione della persona? La coscienza del singolo. E’ la coscienza che ultimamente giudica se, in che misura, in quali circostanze la legge deve essere applicata.
Un segno di questa mutazione nella teologia: S. Alfonso inizia il tuo trattato sulla coscienza dicendo che esso è il più importante; S. Tommaso nella Somma dedica a questo tema solo tre articoli.
Proviamo ora ad inserire l’istituto matrimoniale dentro al congiungersi dei due fattori. Che cosa accade?
L’indissolubilità non è primariamente un dono sacramentale, un dato ontologico [res et sacramentum], ma è primariamente una legge priva di radicazione sacramentale. E subisce quindi…il trattamento giudiziario di cui parlavo: in certe condizioni, in circostanze ben delimitate, può essere eccepita dalla coscienza.
Altra conseguenza. Si entra nella regione dell’incertezza sempre più radicale: se il matrimonio è [sentito come] un evento puramente umano, chi decide che cosa esso è o non è? E si giunge a teorizzare la presenza di “tracce di matrimonio” in vissuti umani alieni all’istituzione matrimoniale.
Ma sommamente rivelatore di ciò che è accaduto e accade, è il n° 137 nell’Instrumentum laboris: un testo errato da ogni punto di vista. Esso infatti parte dal presupposto che la coscienza sia “da una parte”; e “dall’altra” la legge morale.
Sintetizzo questo secondo punto. La “sfida” che la post-modernità lancia alla Chiesa circa il matrimonio e la famiglia ha le sue radici anche all’interno teologico della Chiesa: a) nell’oscurarsi della natura sacramentale permanente dello stato matrimoniale [sacramentum permanens: S. RobertoBellarmino (De controversis III, De matr. Controv. II, cap. VI) – Pio XI (Enc. Casti Connubii, AAS 22 (1930), 583)], che ha consegnato l’istituzione matrimoniale alle mani dell’uomo; b) nel distacco del bene dal vero, erigendo la coscienza a giudice supremo.
3. La chiesa sfida la post-modernità
Prima di iniziare questo terzo e ultimo capitolo, desidero fare una precisazione. Nel punto precedente non ho sostenuto che i due fattori di cui ho parlato sono le cause della situazione attuale.
Si potrebbe pensare a questo, non avendo parlato della grande rivoluzione antropologica, che è il vero terreno da cui è germinata la sfida della post-modernità alla Chiesa in tema di matrimonio. Ma non volevo ripetere quanto sono andato scrivendo in questi anni, ed anche ultimamente.
Ho voluto solo dire che nell’ambito del pensiero circa il matrimonio, la modernità non ha trovato una teologia, un soggetto con cui confrontarsi, ma un catalizzatore che aiutava, [contra intentionem], la modernità a dare i suoi frutti…matrimoniali.
Dall’altra parte i processi storici sono sempre assai complessi, ed è assai difficile farne…l’anatomia.
Ora il Sinodo è una grande occasione per un confronto serio, robusto con la post-modernità – non in genere, ma su una fondamentale esperienza umana: il matrimonio – o resterà una grande occasione persa. Ora mi permetto di presentare alcune riflessioni perché questa ultima possibilità non si avveri.
3.1 La Chiesa non dialoga in primo luogo colle ideologie ma colle persone in carne ed ossa. Esiste, direbbe il S. Padre, un primato della realtà sull’idea [cfr. Es Ap. Evangelii gaudium 231-233].
Ora la Chiesa, postasi in questo giusto atteggiamento – si dialoga colle persone non con l’ideologia -, nel prossimo Sinodo ha scelto di porre il suo sguardo preferibilmente sulle persone ferite. Non poteva non essere così, visto l’insegnamento e la condotta di Gesù. Il S. Padre ha paragonato la Chiesa ad un ospedale da campo.
Ma individuata questa scelta e ciò che la deve accompagnare: accoglienza, benevolenza, tenerezza, pazienza…non è detto tutto. Anzi non sono dette le cose più importanti, poiché la domanda fondamentale è: come guarire quelle ferite? Gesù sentiva compassione per gli infermi; ma non si limitava a questo: li guariva.
E qui si pongono alcune domande alle quali è necessario rispondere con consapevole chiarezza.
Quali sono i criteri di giudizio in base ai quali discernere la condizione della persona? Non certamente posso desumerli dalla sociologia. Poiché esiste un grande iato fra i costumi sociali e la dottrina della Chiesa – pensa chi afferma il primato della sociologia sulla teologia – la guarigione delle ferite degli sposi deriva dall’adeguamento ai costumi. La Chiesa elabori criteri di discernimento desunti dalla sociologia.
Ma il trionfo della sociologia sulla teologia segna la sconfitta anche disonorevole della proposta cristiana.
Dire poi che i criteri del discernimento devono essere desunti dalla misericordia, è falso e pericoloso. La misericordia infatti denota un’attitudine generale, che muove i vari gesti di guarigione, i quali tuttavia hanno una loro consistenza propria a seconda della malattia. Mi spiego meglio. La carità, di cui la misericordia è una dimensione essenziale, è “forma” di ogni virtù non essentialiter [la giustizia non è la carità; la fede non è la carità] ma effective in quanto intenziona, dirige e nutre l’esercizio di ogni virtù [cfr. 2,2, q.23, a.8, ad 1um].
E’ pericoloso, poiché la misericordia male intesa può evitare di ricorrere a necessarie medicine amare.
I criteri dunque del discernimento devono essere cercati nella proposta cristiana del matrimonio.
Pertanto il primo, più urgente dovere della Chiesa oggi è di annunciare il Vangelo del matrimonio sine glossa, sine glossa, sine glossa; di ripensare la catechesi del matrimonio e della famiglia e dare ad essa nuovo impulso: vedrei buona cosa, come frutto del Sinodo, la promulgazione pontificia di un Catechismo del matrimonio e della famiglia, per tutta la Chiesa.
Ma quale è la vera natura della proposta cristiana? non è un ideale, ma è la verità circa il matrimonio e la famiglia. Non è una legge, ma è grazia che viene donata. Non ho più tempo di approfondire questo punto assai importante.
3.2 L’ideologia, il “pensiero del tempo” non può essere ignorato, poichè è esso che trasmette il virus. Dispone di molti e potenti mezzi di comunicazione; non raramente si trasforma in “angelo di luce”.
L’apostolo Paolo è molto chiaro: «non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente» [Rom 12, 7]. La prima trasformazione in Cristo, il primo passo verso l’appropriazione vitale del mistero di Cristo è il “rinnovamento della mente”. Esso non è possibile senza un abbandono totale della “mentalità di questo secolo”. E Paolo sapeva bene quale era la mentalità circa il matrimonio al suo tempo!
L’apostolo insegna poi che solo se è intervenuta questa conversione-rinnovamento della mente, siamo in grado di discernere.
L’ideologia va combattuta sul piano del pensiero. La delegittimazione di un forte impegno culturale nell’ambito dei temi della famiglia e del matrimonio sarebbe devastante per la pastorale della Chiesa.
3.3 Desidero infine richiamare la vostra attenzione su un altro punto assai importante. La “strategia” di cercare ciò che di bene c’è nelle alternative al matrimonio, che la post-modernità ci propone è teoreticamente sbagliata e pastoralmente perdente.
Premetto che non sto parlando di persone, ma di stati di vita [unioni di fatto; matrimonio civile (da distinguere accuratamente dal matrimonio naturale); convivenze omosessuali]. Possono essere persone ottime, ma non lo sono in quanto uniti di fatto, sposati solo civilmente, omosessuali conviventi. La strategia suddetta avrebbe un fondamento nella realtà se nei suddetti stati di vita ci fosse un’analogia di partecipazione con il matrimonio vero e proprio. Che cioè l’essenza, la forma del matrimonio fosse partecipata, anche se imperfettamente da essi. Ma le cose non stanno così: ciascuna di quelle forme di vita nega la natura stessa del matrimonio. Parlare dunque di “germi del Verbo” presenti in questi stati di vita; presentarli [ Instrumentum laboris 99] cioè come matrimoni in germe da far maturare, è errato.
Non solo. Ma una simile strategia è anche perdente, poiché viene a patti con una ideologia la quale per sua natura è totalizzante, come ogni ideologia. Se ne accetti un frammento, introduci nella mentalità dei fedeli il tutto. Quelle condizioni di vita sono oggi infatti in tutto e per tutto pensate secondo l’ideologia post-moderna: la verità come opinione; l’amore come emozione; la libertà come semplice possibilità. La Chiesa è chiamata ad accogliere con misericordia le persone, non l’ideologia né a dialogare con essa.
Concludo. La Chiesa lancia al mondo post-moderno la sua sfida: Dio dona alla persona umana la capacità di amare, con un amore che si costruisce nella reciproca auto-donazione definitiva. La sfida è: “vedete? L’uomo e la donna hanno ricevuto da Dio in Cristo il dono della coniugalità, la quale risponde adeguatamente al desiderio del cuore”.
Come lancia questa sfida? Nella e colla vita degli sposi che vivono santamente non l’ideale che non esiste, ma la semplice verità dello stato coniugale. Prius vita quam doctrina: vita enim ducit ad scientiam veritatis [S. Tommaso d’A., Super evangelium sancti Matthaei Lectura, ed. Marietti, n° 458].
Instrumentum Laboris: marginalia
30/09/2015