Siamo sotto gli occhi buoni, penetranti della Vergine di San Luca, davanti ai quali non avere inganni e dai quali, come una madre profonda e madre, lasciarsi guardare per sentirsi figli, amati e capaci di dirle: siamo tuoi, eccoci, ecco la nostra sofferenza.
E’ proprio vero che “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”. E Maria è Madre della Chiesa. Abbiamo camminato leggeri perché pieni di tante invocazioni,tante preghiere – e anche tante difficoltà ad unire le mani – che ci spingevano ad andare avanti e a portarle davanti a Maria. Le mamme in angoscia per i loro piccoli, i figli e i nipoti per i loro vecchi, le persone che stanno male e sono sole, chi è angosciato e non vede luce, insomma tutta l’invocazione dell’intera città, perché la sofferenza è sempre una preghiera a Dio.
Oggi eravamo assieme tutti a percorrere questo cammino che rende facile la salita, protetti dal portico, cordone vitale che unisce la Casa di Maria alla città, in fondo il cielo e la terra, lo spirituale e la nostra vita ordinaria, materiale così com’è, contraddittoria. E’ proprio quella che il Signore ha fatto sua, ha amato e continua ad amare. Maria genera la presenza di Cristo, perché il suo mistero di amore diventi carne nei suoi segni e nella nostra vita e con la nostra vita.
Qui il cielo si fa più vicino, ma anche il cielo é legato alla terra. Il portico è un filo che ci porta in alto ma anche che porta il cielo in mezzo a noi. Maria ci porta Gesù e lei ci porta a Gesù. In questi giorni tutti abbiamo amaramente scoperto o riscoperto la nostra provvisorietà – non un’ipotesi lontana che riguardava sempre altri, ma la mia provvisorietà incombente – ombra della morte che la provoca. Non si tratta della provvisorietà compulsiva del nostro io, che consuma esperienze e tempo, come fossero infiniti e un diritto. Abbiamo bisogno di cielo non per scappare dalla terra, ma perché senza il cielo la terra diventa una scatola nera nella quale siamo chiusi. Solo il cielo ci aiuta a comprendere chi siamo per davvero: con le sue dimensioni umilia quando ci facciamo grandi da soli, ma rende grande il piccolo che siamo.
In questi giorni capiamo come siamo una cosa sola, come una sola è la terra, questa magnifica casa comune che rischiamo di rovinare in maniera irreparabile. Cercare il cielo, salire in alto ci aiuta a stare in basso e a vivere bene sulla terra, il nostro attimo e sapere che il cielo, mistero di amore, è specchio di quello che abbiamo dentro di noi, l’anima, perché siamo fatti davvero a sua immagine. E se viviamo non disanimati o onnipotenti, ma con anima, siamo uomini veri e forse anche angeli veri.
Quanti incontri in questo portico, quanta umanità diversa e tutta amata da questa madre, nostra, perché ama tutti i suoi figli e vuole che tutti si sentano amati da lei e da questa chiesa che come una madre vuole solo essere vicina a tutti i suoi figli, specie chi è più debole.
E chi sta bene non è geloso, anzi aiuta la madre a curare il fratello che è in difficoltà. Portiamo le preghiere di un’intera città degli uomini, diventata deserta, attaccata da un nemico che provoca paura, angoscia, sofferenza. Abbiamo deposto i nomi di quanti sono morti in questi giorni, perché per una madre il figlio non è mai un numero o anonimo. Se ne sono andati via senza poterli salutare come avremmo e avrebbero desiderato loro e le loro famiglie.
Sono i nostri cari, come ci é caro ogni pezzo della nostra città degli uomini. E se il male ci obbliga ad isolarci, cresce il desiderio di stare insieme, come i bambini che non vedono l’ora di ritrovare i loro compagni, di toccarli e di giocare come sempre.
Davanti a questa Madre sentiamo che la comunione è necessaria come l’aria per respirare, come mi ha scritto un prete poco fa. E comunione vuol dire amicizia vera e amore fraterno tra di noi e con tutti. Questi giorni ci servono per irrobustire l’uomo interiore, liberi dalle apparenze che tanto ci rovinano. Capiamo come il male non è mai uno scherzo, non ha confini e colpisce tutti, ma proprio tutti. E se c’è una pandemia sentiamo in questa casa un pan amore, che unisce il villaggio globale del mondo.
Accolti da questa madre capiamo che siamo figli e quindi fratelli e che lei ci insegna a unire le nostre mani e versa tanto azzurro nel nostro cuore: azzurro di cielo che è la generosità, la gratuità, la simpatia, la tenerezza, l’ascolto, il rispetto, la fiducia, la speranza. Ci aiuta nelle avversità a convertirci, a non pensare che ci castiga ma a sapere leggere i segni, a non salvare noi stessi e pensare solo a sfangarla, ma a capire, a cercare la forza vera dell’uomo, la bellezza struggente della nostra vita debole ma fatta per essere eterna e capire il mistero di Dio che si è fatto uomo e che ci fa uomini.