(Is 25, 6-9; Sal 22; Gv 14, 1-6)
Come diceva San Cipriano, siamo qui riuniti dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo per celebrare l’Eucaristia in suffragio di don Alberto Gritti, nel 1° anniversario della sua morte. È il vincolo indistruttibile della comunione trinitaria, infatti, che ci spinge a fare memoria sacramentale di questo nostro carissimo fratello sacerdote e a rendere grazie al Signore per averlo donato alla Chiesa brasiliana e bolognese. Ringrazio il parroco, Mons. Franco Candini, e don Giulio Matteuzzi per avermi invitato a presiedere questo rito.
Il 9 febbraio 2002, a Villa Pallavicini, ebbi l’opportunità di presiedere l’Eucaristia nel trigesimo della morte di don Giacomo Mario Clamer, un sacerdote di origine bresciana approdato a Firenze, dove venne in contatto con l’Opera Madonnina del Grappa di don Facibeni. Per completare gli studi andò a Ravenna, dove incontrò l’Arcivescovo Giacomo Lercaro, che poi lo portò con sé a Bologna, dove nel 1954 lo ordinò prete e lo inserì nella pastorale diocesana.
L’indomani, don Alberto venne in Curia per chiedere il testo dell’omelia e per ringraziarmi. Secondo lui avevo colto l’essenza della spiritualità di don Mario nella sua «parresia», cioè nel suo coraggio di testimoniare la verità fino a divenire un annunciatore del Vangelo «sine glossa», capace di penetrare le coscienze e di orientare il futuro di tante persone affidate dalla Provvidenza alla sua guida spirituale.
Don Alberto Gritti era una di queste persone, anche se la sua indole era molto diversa da quella del suo padre spirituale. Don Mario, infatti, era un prete «scomodo», ma animato da un’inquietudine interiore profonda, frutto di una fede allo stato puro e di una passione missionaria difficilmente catalogabile negli schemi comuni, ma sempre sorretta da un’obbedienza leale e convinta. Da questo “serbatoio” di risorse spirituali, Alberto ha attinto l’orientamento verso la sua donazione totale al Signore, proprio nell’ottica dell’annuncio della Parola che abbiamo appena ascoltato.
Di fatto, con questa Messa, noi entriamo in profonda e misteriosa comunione con la realtà totale di Cristo Redentore, che ha detto «Fate questo in memoria di me» (1 Cor 11, 24). Pertanto, attraverso il rito, noi diamo concretezza alla verità proclamata dal Profeta Isaia: «Il Signore preparerà su questo monte un banchetto per tutti i popoli». Grazie all’Eucaristia, infatti – vera Pasqua del Signore – sorge «sul monte» la nuova Gerusalemme, la Chiesa, che – come sacramento di Cristo – strappa il «velo» dell’ambiguità, del dubbio e della paura «che copre la faccia di tutti i popoli». Inoltre, «asciugherà le lacrime su ogni volto ed eliminerà la morte per sempre».
Don Alberto era nato ad Alfonsine, in provincia di Ravenna, il 23 novembre 1933. Come ci informa il suo fraterno amico e confratello missionario don Giulio Matteuzzi, il Dott. Alberto Gritti era avviato alla carriera diplomatica, ma anziché Ambasciatore, il Signore lo volle «pescatore di uomini» (Cf. Lc 5, 10). Le tappe fondamentali della sua vita già le conosciamo. Ordinato sacerdote dal Card. Lercaro, il 31 marzo 1968, per essere inviato come missionario Fidei donum in Brasile dove, dopo un’esperienza parrocchiale, gli fu chiesto di fare il Rettore e il Padre spirituale in alcuni Seminari brasiliani. Nel 1993 – dopo 14 anni di apostolato missionario – per ragioni di salute, dovette tornare a Bologna, dove il Card. Biffi gli affidò la Pastorale degli immigrati e l’officiatura in questa chiesa dei Santi Gregorio e Siro. Ha sempre avuto uno stretto rapporto con Mons. Salmi e la Villa Pallavicini, dove – dal 2009 – già sofferente, animava il Villaggio della Speranza e il Centro diurno. Gli ultimi due anni della sua vita li ha trascorsi alla Casa del Clero. È deceduto presso la Casa di cura “Madre Fortunata Toniolo”, alle ore 8.50 del 30 gennaio 2016. Aveva 82 anni.
Pochi sanno che il Dott. Gritti, prima di essere ordinato sacerdote, ha condiviso con me il servizio ai giovani studenti in casa del Cardinale Giacomo Lercaro. Infatti, nel 1964 fu chiamato – dalla “Casa della Madonna” fondata da don Clamer – a sostituire don Giancarlo Lugli come responsabile della comunità distaccata a Palazzo Poggi in Strada Maggiore, dove ogni mattina andavo a celebrare la Messa. Ci sono tracce di questo ruolo di don Alberto in alcune delle lettere che il Cardinale inviava ai suoi ragazzi da Roma, durante i lavori del Concilio: per esempio, in quella del 9 ottobre 1964, scrive: «A mia sorella, a Don Ernesto, al Dott. Gritti e a tutti in casa i più cari saluti». Nella lettera del 4 dicembre 1964, il Cardinale Lercaro, in riferimento alle domande di ammissione nella sua «Famiglia» in Arcivescovado, scrive: «Penso anche ai nuovi ragazzi, prossimi ormai ad entrare. Nei giorni scorsi che fui a casa, esaminai prima da solo, poi con Don Arnaldo, Don Ernesto e il Dott. Gritti le 75 domande».
Questo per dire che il Cardinale Lercaro ebbe una conoscenza diretta delle qualità umane, culturali, spirituali e vocazionali di Alberto Gritti. Pertanto, nonostante fosse già Arcivescovo Emerito da poche settimane, non esitò ad ordinarlo sacerdote, nella mattinata della Domenica di Passione, il 31 marzo 1968, a Villa San Giacomo. In tale circostanza, il Cardinale scrisse nel foglietto – che quotidianamente appendeva all’ingresso della Cappella – una sua riflessione sul sacerdozio, che inizia con queste parole: «L’Ordinazione sacerdotale del Diacono Dott. Alberto Gritti ripresenta al pensiero e alla meditazione di tutti il mistero del sacerdozio cattolico».
Il Cardinale, dopo aver illustrato il rapporto e la differenza tra sacerdozio ministeriale e sacerdozio battesimale, continua: «Il prete in forza della sua privilegiata partecipazione al compito sacerdotale di Gesù, diviene strumento vivo, consapevole e volente della missione salvifica del Redentore; in poche parole: è soprattutto e normalmente attraverso l’opera sacerdotale che Cristo continua a salvare». E concludeva: «Le parole di S. Agostino: “Battezzi Pietro, battezzi Giuda: è sempre Cristo che battezza” dicono incisivamente questa grandezza e bellezza del servizio sacerdotale… Così il mondo, in quanto ha bisogno di Cristo (perché non c’è altro Salvatore), ha bisogno dei preti…».
Nell’Omelia della Messa di Ordinazione – della quale esiste la registrazione – il Cardinale ha commentato la prima lettura, tratta dal cap. 9 della Lettera agli Ebrei. Ha messo a fuoco la ricchezza del sacerdozio di Cristo partecipato dal sacerdozio ministeriale, tracciandone le coordinate attorno a quattro parole fondamentali. Il sacerdote, in sostanza, è chiamato a prolungare, nel suo ministero, la novità di vita portata da Cristo con la Redenzione, la Purificazione, l’Alleanza e l’Eredità, connesse all’edificazione del Regno di Dio. Ha concluso ringraziando il Signore che – con Don Alberto – ha dato al mondo un nuovo sacerdote.
Ecco perché il Dott. Alberto Gritti, anziché la “via diplomatica” ha scelto la “via sacerdotale“, che lo ha messo in presa diretta con Cristo. In forza dell’Ordinazione è stato posto nella condizione di agire «in persona Christi», in quanto è divenuto «presenza sacramentale» di Gesù. Ciò significa che la grazia della consacrazione sacerdotale lo ha reso immagine reale, vivente e trasparente di Cristo Capo, Pastore e Sposo: le tre note caratteristiche del vero pastore, che guida il gregge per sentieri sicuri, conosce le sue pecore, ne sente l'”odore” – come dice Papa Francesco – e le ama fino a consumare la vita per loro, come Gesù.
Queste sono le persuasioni radicate nella coscienza e nella vita sacerdotale di don Alberto e che egli ha cercato di inculcare nei seminaristi brasiliani affidati alle sue cure e nelle tante persone che ha incontrato nel suo apostolato bolognese. Solo partendo da qui, si può comprendere «quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità» dell’amore di questo prete “buono e umile” per Cristo (Cf. Ef 3, 18), per la Chiesa e per tutte le persone, specialmente quelle povere, emarginate e sofferenti.
Don Alberto – come ha detto l’Arcivescovo Matteo nell’omelia esequiale – “era davvero un uomo di Dio, profondo, essenziale e gioioso come un fanciullo dal cuore puro”. Pertanto rimane in benedizione nella nostra Chiesa. La sua, è stata una testimonianza silenziosa, ma accompagnata dall’«aggressività della mitezza» – come diceva l’Arcivescovo Enrico Manfredini – capace di penetrare anche nei cuori più induriti. Lo si vedeva dai suoi occhi: “profondi, buoni, pieni d’amore, di sofferenza e di fiducia, come quelli di un bambino”. La sua apparente ingenuità, però, non era quella dell’uomo sprovveduto «in mezzo ai lupi», ma rivelava la forza del testimone «prudente come i serpenti e semplice come le colombe» (Cf. Mt 10, 16).
La foto ricordo, scelta in occasione delle esequie di questo mite e umile sacerdote, è stata scattata sul monte Senario (Firenze), dove i Sette Santi Fondatori hanno dato vita all’Ordine dei Servi di Maria, nell’ottica di un autentico rinnovamento della Chiesa, sulla scia di San Domenico e di San Francesco. Quest’immagine assume – nella circostanza – un alto valore simbolico e sintetizza bene il senso della vita cristiana e della missione sacerdotale. Da un lato, col suo saluto, don Alberto sembra dire: «Arrivederci! Vado ad occupare il mio posto nella Casa del Padre, come ha promesso Gesù»; dall’altro lato, ci ricorda che per arrivare alla meta, bisogna seguire Cristo, «via, verità e vita» e nessun altro, perché Gesù è l’unico «mezzo» per arrivarci: «Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Cf. Gv 14, 1-6).
Inoltre, sullo sfondo della salita appare la chiesa edificio, segno sacramentale della Gerusalemme nuova – come si esprime l’Apocalisse – la «città santa che scende dal cielo pronta come una sposa adorna per il suo sposo». In cima alla torre, invece, c’è la campana. I suoi rintocchi fanno sentire la voce potente che viene dal trono divino e dice, citando anche Isaia: «Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro e asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché io faccio nuove tutte le cose» (Cf. Ap 21, 1-5; Is 25, 8).
Infine l’orologio, che misura il tempo verso l’eternità, ci ricorda che per ciascuno di noi è fissata un’«ora». Quella di don Alberto è scoccata alle 8.50 del 30 gennaio di un anno fa. La nostra rimane segnata nell’agenda segreta di Dio. «Non spetta a noi conoscere tempi e momenti che il Padre ha riservato al suo potere» (At 1, 7). Noi possiamo solo stare all’erta e tenerci pronti «perché nell’ora che non immaginiamo, viene il Figlio dell’uomo» (Cf. Mt 24, 44). Dunque, il modo migliore per attendere quell’«ora» è quello di vivere in pienezza il tempo presente, per entrare nella gioia piena del tempo futuro e occupare quel posto che Gesù ha preparato per tutti noi, accanto a Lui, nella Casa del Padre (Cf. Gv 14, 2-3). Don Alberto sarà lì a tenere aperta la porta del Paradiso, con il suo sorriso trasfigurato dalla beatitudine.