BOLOGNA – Dal 5 all’8 marzo papa Francesco si è recato in Iraq in un viaggio apostolico.
Pubblichiamo in forma integrale il commento di don Fabrizio Mandreoli, direttore dell’Ufficio diocesano per l’ecumenismo e il dialogo, riportato in forma ridotta dal settimanale diocesano Bologna Sette del 14 marzo. Sopra invece l’intervista fatta per 12Porte a fratel Ignazio De Francesco della Piccola Famiglia dell’Annunziata, incaricato diocesano per il dialogo interreligioso.
Un viaggio storico in un paese tutt’altro che pacificato e scenario di conflitti sanguinosi da decenni. Da più parti e su molte testate nazionali ed internazionali emerge come il viaggio di Papa Francesco abbia segnato un’altra tappa di un ormai lungo percorso geografico, pastorale e teologico.
Un processo che, in ascolto della realtà storica, dei popoli che soffrono e dello Spirito del vangelo, porta avanti una semina di pace e riconciliazione, di profezia e fratellanza. Certo, si tratta di eventi a livello della Chiesa e della storia mondiale, ma non è inutile chiedersi: noi come cristiani e come cittadini, cosa possiamo imparare da questi giorni iraqeni del vescovo di Roma? Molte cose, ci limitiamo a sottolinearne quattro. In primo luogo il viaggio è avvenuto all’ombra del patriarca Abramo, padre dei credenti che ha iniziato il suo percorso di fede e di umanità da Ur dei Caldei.
A Najaf, importante santuario musulmano, il Papa ha incontrato l’Ayatollah Al-Sistani che l’ha accolto dopo decenni che non si era mai reso disponibile ad incontrare alcuna figura politica o di rilievo di provenienza occidentale. Un incontro con cui Papa Francesco prosegue il lavoro della Dichiarazione di Abu Dhabi sulla fraternità universale e dell’enciclica Fratelli tutti.
È un percorso complesso politicamente, socialmente e anche teologicamente, che però indica come il lavoro per il vangelo implichi oggi – anche a Bologna – un impegno serio per la comprensione interreligiosa e per la coltivazione di prassi di fraternità. Un secondo elemento è l’appello pronunciato dal Papa a Ur dove parlando di Abramo si è chiesto: “Da dove può cominciare allora il cammino della pace? Dalla rinuncia ad avere nemici. Chi ha il coraggio di guardare le stelle, chi crede in Dio, non ha nemici da combattere. Ha un solo nemico da affrontare, che sta alla porta del cuore e bussa per entrare: è l’inimicizia. Mentre alcuni cercano di avere nemici più che di essere amici, mentre tanti cercano il proprio utile a discapito di altri, chi guarda le stelle delle promesse, chi segue le vie di Dio non può essere contro qualcuno, ma per tutti”.
Chi vive così il credere: “non può giustificare alcuna forma di imposizione, oppressione e prevaricazione, non può atteggiarsi in modo aggressivo”. Sono parole importanti che invitano a rinunciare ad ogni forma di identità costruita nell’essere contro qualcuno, si tratta di una tendenza che non è, certo, stata assente nemmeno nei nostri vissuti ecclesiali e sociali recenti.
Un terzo elemento di rilievo è stata l’emersione del ruolo delle donne, del loro dolore, della loro capacità di resistenza e resilienza. Papa Francesco nel viaggio di ritorno ricordando le scintille e i motivi che l’hanno spinto a questa visita racconta del libro L’ultima ragazza: “è la storia degli yazidi. E Nadia Mourad racconta cose terrificanti. […] Quel libro lavorava dentro. Anche quando ho ascoltato Nadia che è venuta a raccontarmi delle cose terribili […]”.
Il testo del Papa continua raccontando altre vicende impressionanti subite dalle donne yazide, cristiane e musulmane e pone anche alle nostre società domande serie, umanamente e culturalmente. Certo su un altro registro, ma anche a livello locale mi pare che l’appello per il rispetto profondo delle donne nella loro sogettualità e quindi anche l’impegno ecclesiale per uno sviluppo dell’apporto delle battezzate nel vissuto/pensiero effettivo della Chiesa non sembra essere più a lungo rinviabile. Un quarto elemento riguarda l’appello alla pace contro: il traffico delle armi, l’ingiustizia violenta della guerra, gli interessi economici irresponsabili e i fondamentalismi.
Papa Francesco si è interrogato – e ci ha fatto interrogare – sulle rovine di Mosul, su un Medio Oriente fortemente destabilizzato e su una presenza cristiana estremamente diminuita. È l’occasione – se vogliamo – per una maggiore consapevolezza della distrazione politica, ma anche per una purificazione della memoria ecclesiale, per una revisione delle timidezze della Chiesa in Italia – se si escludono gli appelli accorati di Giovanni Paolo II – nel riconoscere la forza destabilizzante delle guerre in Iraq del 1991 e del 2003.
Gli osservatori internazionali e gli studi hanno mostrato con chiarezza le vere motivazioni di quelle guerre e gli esiti catastrofici dei meccanismi innescati. Forse è utile riconoscere come in quegli anni il nostro sguardo non sia sempre stato capace di comprendere che la pace e la fraternità non sono ideologie ma dimensioni interne e vitali del vangelo cristiano. Quanto avvenuto con il viaggio in Iraq del Papa pare essere davvero un appello a ripensamenti profondi personali e collettivi, revisioni sociali ed ecclesiali.
Fabrizio Mandreoli, responsabile per il dialogo ecumenico ed interreligioso