BOLOGNA – Una settantina di preti bolognesi ha partecipato con l’Arcivescovo all’incontro con padre Timothy Radcliff che ha ha offerto una riflessione sul tema “affettività e comunione”. La sintesi e la registrazione integrale.
Lunedì 30 gennaio, nell’ambito del cammino sinodale rivolto in particolare ai presbiteri, è stato organizzato un incontro con P. Timothy Radcliffe O.P. con la presenza dell’Arcivescovo. Timothy (nato a Londra nel 1945) è stato Maestro generale dell’Ordine dal 1992 al 2001 ed è autore di numerosi saggi che affrontano una molteplicità di tematiche: dalla formazione spirituale di religiosi e laici alla lettura teologico-pastorale della situazione attuale della Chiesa nel mondo.
Alla luce della propria ricca esperienza arricchita dalla visita di tanti paesi del mondo, ha svolto una meditazione sul tema: affettività e comunione. Con un linguaggio profondo, ricco di citazioni sia bibliche sia di autori antichi e moderni, e con alcuni passaggi di squisito umorismo, ha accompagnato i presbiteri presenti (circa una settantina) in un percorso che ha toccato nel profondo la crescita della capacità di amare non nonostante la nostra umanità, ma in forza della nostra umanità, fatta di passioni e di emozioni, alla luce della fede.
Parlare di felicità, di affettività, di passioni, di amicizia, di amore, di castità è parlare del mistero dell’incarnazione. Dio si è fatto uomo, corpo come noi, e ci ha lasciato come memoriale del suo amore il suo corpo presente nell’Eucaristia e ci ha promesso la risurrezione della carne nella vita eterna.
Solo nell’ottica dell’incarnazione si capisce come l’amore è “rischioso” perché concreto, ma non aprirsi all’amore è ancora più pericoloso. Nel cammino per imparare ad amare è necessario mantenere un sano equilibrio tra l’amore particolare e universale. Il primo rischia di diventare soffocante e il secondo troppo vago. In questa direzione un approfondimento molto interessante ha riguardato l’amicizia, realtà indispensabile per vivere. Essa ci aiuta a mantenere l’equilibrio tra la solitudine e la fraternità, che sono i due polmoni della capacità di amare, che ci fa superare la tentazione del potere e del controllo sugli altri, perché aiuta noi stessi e gli altri a vivere la libertà di amare.
Alcune domande hanno stimolato i presenti a riscoprire la necessità dell’aiuto fraterno: ci preoccupiamo della felicità dei confratelli? cosa facciamo se vediamo un nostro fratello in crisi? abbiamo l’umiltà di chiedere aiuto? Le crisi inevitabili che accompagnano ogni vita lungo gli anni non vanno affrontate da soli, ma rimanendo sempre in contatto con la realtà in cui siamo inseriti e nella relazione con i nostri confratelli.
Al termine della meditazione sono state fatte al relatore diverse domande, che hanno approfondito il discorso e hanno espresso il desiderio di continuare a confrontarci su questi temi così vitali per la fecondità del nostro ministero: imparare sempre più ad amare, però mai in modo possessivo, ma sempre come dono gratuito di se stessi, secondo la logica eucaristica, custoditi da un’autentica fraternità presbiterale.
Don Pietro Giuseppe Scotti