BOLOGNA – Pubblichiamo l’intervento di don Francesco Scimè, direttore dell’Ufficio diocesano di pastorale della salute, ospitato domenica 22 marzo su Bologna 7 a proposito dell’assistenza spirituale negli ospedali in questo tempo di emergenza sanitaria.
«Lo Spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri». Queste parole del profeta Isaia (c. 61) sono le più luminose per descrivere la missione del Cristo e quindi della Chiesa nel mondo. Da dieci anni ormai la Chiesa di Bologna si è trovata ad assumere direttamente il servizio di assistenza spirituale nel Policlinico Sant’Orsola– Malpighi, dopo il ritiro dei Frati Minori.
Anche negli altri ospedali del territorio diocesano la nostra Chiesa cerca da sempre di essere presente accanto ai malati, ai loro familiari e al personale sanitario. La prima domanda potrebbe essere: «Come è presente?». Anzitutto con i malati stessi, che nella loro condizione di sofferenza sono i primi rappresentanti del Signore Gesù stesso. Pensiamo solo alla parola di Mt 25: «Ero malato e…». In secondo luogo, nella persona di chi è accanto a loro, familiari e operatori sanitari, che con il loro servizio di assistenza rendono presente, anche inconsapevolmente, il Signore stesso.
Infine, la Chiesa è accanto ai malati attraverso i suoi ministri: i Cappellani degli ospedali e tutti coloro che collaborano con essi, diaconi, religiosi/e, ministri istituiti, volontari. Solo al Sant’Orsola contiamo così una cinquantina di persone che visitano i malati, avvalendosi del diritto di frequentare i reparti a pari titolo dei Cappellani, acquisito dalla Legge regionale sull’assistenza religiosa negli ospedali del 1989.
Tutto questo si è complicato non poco a causa della grave epidemia dovuta al Corona Virus, che ha colpito anche la nostra Regione. Le amministrazioni degli ospedali hanno dovuto prendere misure precauzionali molto strette, corrispondenti alle disposizioni emanate dal Governo: i reparti sono chiusi al pubblico, alcuni addirittura sono stati destinati esclusivamente al ricovero dei casi di contagio e quindi ancora più isolati, solo un familiare al giorno può visitare negli orari stabiliti il proprio malato ricoverato.
Agli assistenti religiosi e ai loro collaboratori è permesso di far visita solo ai malati che esplicitamente lo richiedessero. Così, la loro presenza è soprattutto di preghiera, nei luoghi adibiti ad essa, le varie Cappelle degli ospedali. In alcune di esse si celebra anche la Messa, rispettando la norma di sicurezza di un numero estremamente ridotto di presenti.
Quello che vorrei dire a questo punto è che non c’è situazione che possa ostacolare il cammino del Vangelo ai poveri: anche nel fondo di una prigione l’apostolo Paolo in catene diceva che «La Parola di Dio non è incatenata» (2Tim 2,9). Dobbiamo aver fiducia che, pur rispettando tutte le giuste norme di prudenza, abbiamo una grande opportunità, oggi più che mai, di raggiungere tutti con la preghiera, con il dono di noi stessi nella fedeltà alla nostra vocazione, nell’obbedienza quotidiana a quello che la vita ci chiede e anche con tutti i mezzi, anche tecnici, di cui oggi disponiamo.
In questo modo confidiamo che possa avverarsi, anche e soprattutto in questo tempo difficile, la parola profetica «Mi ha mandato… a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri».
Don Francesco Scimè,
direttore dell’Ufficio diocesano di Pastorale della salute